«Venezia e la sua laguna: lo sguardo degli artisti romeni del lungo Novecento»: Gheorghe Petraşcu

Gheorghe Petraşcu (1872–1949), Chioggia, barche sul Canal Vena, olio su tela, cm 28x35,5, 1924, firma in basso a sinistra: «G. Petraşcu», collezione privata (Romania).

Gheorghe Petraşcu (1872–1949), Chioggia, olio su cartoncino, cm 25x35, firma e data in alto a destra: «G. Petraşcu, [1]924», collezione privata (Romania).

Gheorghe Petraşcu (1872–1949), Venezia. Parrocchia di San Zaccaria, olio su cartoncino, cm 25x36, firma e data in basso a destra: «G. Petraşcu, Venezia, 1928», collezione privata (Romania).

Gheorghe Petraşcu (1872, Tecuci–1949, Bucarest) nacque nella città di Tecuci, nella Moldavia meridionale. I suoi genitori, Costache Petrovici–Rusciucliu e sua moglie Elena, nata Biţa, erano piccoli possidenti nella zona di Fălciu. Fratello di Nicolae Petraşcu (1859–1944), diplomatico, scrittore e critico d’arte e letterario, Gheorghe rivelò precocemente le proprie inclinazioni artistiche e compì i primi studi all’Accademia di Belle Arti di Bucarest. Successivamente, su raccomandazione del grande pittore Nicolae Grigorescu (1838–1907) ottenne una borsa di studio per perfezionarsi all’estero. Dopo un breve periodo trascorso a Monaco di Baviera si trasferì a Parigi, dove si iscrisse all’Accademia Julian e tra il 1899 e il 1902 lavorò nello studio del pittore accademista William–Adolphe Bouguereau (1825–1905). Fin dalla sua prima esposizione personale all’Ateneo Romeno (1900), Gheorghe Petraşcu fu apprezzato dagli scrittori Barbu Ştefănescu Delavrancea (1858–1918) e Alexandru Vlahuţă (1858–1919), che acquistarono una sua opera ciascuno. Con un entusiasmo travolgente dipinse paesaggi sia in Romania (Sinaia, Târgu Ocna, Câmpulung Muscel), sia all’estero: in Francia (Vitré, Saint-Malo), in Spagna (Ponte di San Martín di Toledo) e soprattutto in Italia (Venezia, Chioggia, Napoli). Nei suoi paesaggi la luce non cancella i contorni come accade invece nell’opera degli impressionisti, al contrario, le architetture rettilinee si impongono suscitando un’impressione di solidità. Da questo punto di vista, i paesaggi veneziani rivelano chiaramente l’anticonformismo di Petraşcu. L’artista evita le interpretazioni tradizionali, in cui il paesaggio della città lagunare non è che un pretesto per analizzare la rarefazione delle vibrazioni luminose, in eterno cambiamento sull’acqua, sui muri colorati e nell’aria limpida. C’è nella sua pittura un elogio della concretezza, delle realtà con cui entriamo continuamente in contatto, un elogio indubbiamente polemico nei confronti della tendenza alla polverizzazione dell’immagine tipica di alcune correnti impressioniste. Egli oppone al lirismo «seminatorista», legato alla cultura pastorale tradizionale a cui erano giunti alcuni epigoni di Ştefan Luchian (1868–1916) e Nicolae Grigorescu, una visione robusta, vitale del mondo. I colori di Petraşcu iniziarono, dal terzo decennio del XX secolo, a sottolineare con forza la matericità, la concretezza del mondo sensibile. Con la densità e la vitalità, ma anche con la lucentezza – evocando lo smalto della ceramica, i riflessi dell’argenteria popolare –, il pittore mette in evidenza i legami con la realtà, con le tradizioni dell’arte romena. Lo stile di Petraşcu si cristallizza, il suo linguaggio artistico acquista gradualmente i toni di un’individualità creatrice originale. Gheorghe Petraşcu espose in numerose personali a Bucarest, fra il 1903 e il 1923 all’Ateneo Romeno, poi al «Căminul Artei» (1926–1930), e raggiunse l’apice con le due retrospettive della Sala Dalles degli anni 1936 e 1940. A Venezia, dove si recava spesso per lavoro, vi soggiornò per ben dieci volte tra il 1902 e il 1939, partecipò più volte alla Biennale Internazionale d’Arte (1924, 1938, 1940, 1942, 1946). Nel 1929 Petraşcu vinse il Gran Premio dell’Esposizione Internazionale di Barcellona, e nel 1937 quello di Parigi.

(scheda a cura di Alice–Georgiana Fănaru; traduzione italiana di Anita Paolicchi)